Centro storico
Ultima modifica 6 maggio 2024
- I vicoli.
I vicoli sono una caratteristica dell’architettura medioevale: ogni passaggio è collegato ad altri da piccoli porticati e ripide scalette fino a formare un unico misterioso labirinto.
Sono angusti e tortuosi per due motivi: il primo, per dare riparo alle abitazioni, infatti, la tortuosità dei vicoli spezza l’impeto del vento gelido ; il secondo perché offrivano agli abitanti il vantaggio di potersi meglio difendere in caso di irruzione nemica all’interno del Castello.
Infatti, eventuali aggressori dovendo percorrere queste strade molto strette e labirintiche potevano essere facilmente colpiti dall’alto delle abitazioni con oggetti contundenti o acqua bollente.
Uno dei vicoli più suggestivi è il “circolare” Vicolo Marozzi, che prende nome da una delle più antiche famiglie di San Donato proveniente da Sant’Urbano, “civitas” cominese dell’Alto Medioevo che sorgeva a metà strada tra Alvito e San Donato.
- Le chiavi.
Le chiavi di volta sono l’elemento strutturale e decorativo capace di identificare la famiglia ed il suo ceto sociale : grazie alla ricchezza delle loro simbologie e dei riferimenti a culture antiche, possono essere considerate dei veri e propri oggetti d’arte. Dislocate nelle vie principali del Centro Storico, sono la viva testimonianza dell’opera degli scalpellini sandonatesi.
I vecchi scalpellini di San Donato si dedicavano a questa attività dopo un lungo e faticoso periodo di apprendistato e tramandato di generazione in generazione.
I lavori venivano commissionati al mastro scalpellino, e solo le famiglie più agiate e benestanti potevano ambire ad opere di un certo valore artistico. Il compenso che ricevevano per il lavoro svolto era quasi nullo. Spesso il costo dell’opera veniva “barattato” con lo scambio di generi alimentari per il sostentamento della sua famiglia.
Nella nobile arte si sono succedute a San Donato intere generazioni e famiglie : i Tempesta, i Di Bona, i Fabrizio, i Cardarelli, i Mazzola, i Cautilli, i Cellucci, ecc. Numerosi furono anche i laboratori dove i giovani impararono il mestiere. Tra questi, le “botteghe” di Carmagnola e di Donato Di Bona.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale molti di questi artigiani furono impegnati nella ricostruzione : ponti in pietra da taglio, la fontana di Sant’Elia Fiumerapido, la facciata della chiesa di Sant’Agata a Ferentino e la ricostruzione dell’Abbazia di Montecassino. In ogni pietra bocciardata, in quella corretta scelta dei profili e delle proporzioni, in quella precisione degli ornamenti traspare tutta la grandezza della loro opera.
Terminati questi lavori, molti scelsero la via dell’emigrazione, altri continuarono a farsi valere in tutta Italia. Come dimenticare, presso i laboratori del Vaticano, i nostri bravi scalpellini ? I Sandonatesi, oltre che come scalpellini, si distinsero anche nell’ornato, nell’intarsio e nella direzione dei laboratori : Tuccio e Peppino Cautilli.
Costretti ad emigrare per sopravvivere, numerosi scelsero gli Stati Uniti. Fermatisi in molti a Quincey, città del Massachusetts, la ribattezzarono “città del granito”. Il loro lavoro è sparso in numerose città americane, tra cui Washington con alcuni lavori presso la Casa Bianca.
Anche in Francia troviamo traccia dei nostri scalpellini, che restaurarono la Cappella di Napoleone nello Chateau di Versailles, quasi tutti i musei parigini, al Trianon e in molte abitazioni di ricche famiglie, come i Drefus, gli Onassis ed i Dior.